mercoledì 1 maggio 2024

1° maggio: un concerto progressista, una postazione per il lavoro contro i morti sul lavoro contro la guerra e solidale con la Palestina

Un primo commento





1°Maggio - Appello agli operai, lavoratori e lavoratrici

Compagni operai, lavoratori/lavoratrici, precari, disoccupati,

questo 1 Maggio, giornata internazionale di lotta dei lavoratori, avviene nel nostro paese in una situazione caratterizzata innanzitutto dal peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, dal taglio dei salari, falcidiati dal carovita/carobollette, falcidiati dal carobenzina e dai costi inaccettabili della sanità e di tutti i servizi sociali. Caratterizzata dalla disoccupazione i cui dati vengono ormai da questo governo nascosti ma si tratta di milioni di persone che non hanno un lavoro, soprattutto al sud. Caratterizzata dalla precarietà per cui la maggior parte dei contatti di circa metà dei lavoratori sono precari, a tempo determinato. Caratterizzata dalle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro: non c'è mai stata una catena così lunga di morti e anche stragi di lavoratori sui posti di lavoro (è inutile dare i numeri perché i numeri, mentre noi parliamo, aumentano). E i lavoratori che non cadono sul posto di lavoro sono spesso comunque a rischio vita, a rischio di gravi infortuni, di malattie professionali, a rischio di malattie ancora più gravi che li portano alla morte, basti pensare all'amianto.

In generale sulle morti sul lavoro abbiamo assistito davvero al massimo dell'ipocrisia e della menzogna da parte di padroni e governo. Ipocrisia, perché tutti si sono dispiaciuti, hanno fatto dichiarazioni, hanno parlato di leggi, hanno parlato di provvedimenti, quando proprio le loro leggi, i loro provvedimenti, sono parte dell'aggravamento delle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro. E quindi sono fattori di morte la legge sugli appalti, gli appalti a cascata, le leggi sul mercato del lavoro, l'intensificazione dello sfruttamento, le condizioni psicologiche e materiali con cui i lavoratori sono costretti ad accettare il lavoro in ogni condizione. E la lista potrebbe continuare.

Nascono tutti dal sistema capitalistico in cui viviamo, dal primato del profitto, che si traduce in primato del padrone. E le leggi sono a loro favore: anche quando dovrebbero tutelare i lavoratori o non sono applicate oppure vengono utilizzate dagli stessi padroni non certo per migliorare la situazione. Le leggi che vengono fatte sono sempre a favore dei padroni, cioè si trasformano gli organi di controllo in organi o inesistenti o di consulenza dei padroni. Invece che sanzioni e aggravamento di sanzioni si fa di tutto per evitare che i padroni paghino sanzioni e che prendano provvedimenti effettivi.

È cresciuta tanto l'indignazione dei lavoratori e delle masse popolari per le morti sul lavoro. Anche perché in tanti posti di lavoro i lavoratori vanno a lavorare e non ritornano o temono di non ritornare e le famiglie sono estremamente preoccupate di quello che può succedere.

Quindi sui morti sul lavoro questo 1 Maggio avrebbe dovuto comunque tradursi in una grande iniziativa nazionale dei lavoratori proprio facendo leva sulla grande indignazione che è venuta dalla catena di morti quotidiani e da stragi che si sono susseguite.

Lo stesso vale per il salario. I lavoratori sanno bene che il loro salario diminuisce sia in forma relativa che assoluta e nello stesso tempo vediamo come nessuna iniziativa per aumentare i salari sui posti di lavoro viene realmente fatta. Nessuna. È inutile che si dica che qua e là è inserita in piattaforme, che si fanno qua e là degli scioperi, ma a fronte della caduta verticale del salario non c'è altra strada che un movimento generale per un forte aumento salariale. E chiaramente ci sarebbero tutte le necessità e le condizioni per il ripristino della scala mobile. Ma di questo non solo non c'è la lotta, ma nessuno realmente ne parla e nè pensa di farlo. E quando diciamo nessuno pensiamo innanzitutto alle grandi organizzazioni sindacali confederali, le cui iniziative, anche quando sono partecipate, appaiono di per sé come inutili e impotenti, che non riescono in nessuna maniera né a incidere nelle trattative con padroni e governo, né tantomeno a dare ai lavoratori un segnale di ripresa, un segnale che è possibile costruire un'altra stagione di lotta come quelle che hanno caratterizzato la storia delle lotte proletarie nel nostro paese, basti pensare all'autunno caldo, che ridiano salario, lavoro, diritti, migliori condizioni di lavoro, di sicurezza e salute, organizzazioni in fabbrica, consigli di fabbrica che possano in qualche maniera cambiare realmente le cose, e cominciare a cambiarle le cose a partire dalla lotta, a partire dalla massa dei lavoratori che sono gli unici che possono poi raccogliere intorno a sé tutta la massa dei senza lavoro, dei precari, dei disoccupati, giovani, donne, e quindi ricostruire una capacità e un potere di lotta che dia dignità ai lavoratori.

In questo 1 Maggio tutto questo non avverrà. Le manifestazioni organizzate dai sindacati confederali al di là delle parole dette nei comizi non sono in nessuna maniera in grado di tradursi in quello che abbiamo detto, “una stagione nuova, di lotta, un nuovo autunno caldo” per usare un riferimento che normalmente è chiaro per tutti.

Per questo non è vero che non ci siano le condizioni oggettive, quelle che mancano sono le condizioni soggettive e organizzative per poterlo fare. E quando si dice questo si dice innanzitutto che manca un sindacato di classe nelle mani dei lavoratori che raccolga i lavoratori, li disciplini, gli organizzi, li educhi a questa battaglia. Soggettive perché in questa situazione è dilagata la passività dei lavoratori, la sfiducia che ha edificato anche la presenza, tra i lavoratori, di idee del tutto sbagliate, di forti forme di individualismo. E queste si sono, si può dire, si sono alimentate l'uno con l'altro. E la possibilità della loro trattazione di questa contraddizione non è all'orizzonte nell'immediata situazione. Però è chiaro che è l'unica questione.

Questo si riflette anche nelle manifestazioni. Nei due più grandi gruppi industriali che ci sono nel paese, la Stellantis nel settore auto e la siderurgia con l'ex Ilva e gli altri stabilimenti di cui il più grande è quello di Taranto, il numero dei lavoratori è proprio in questi giorni ridotto al minimo, operai falcidiati dalla cassa integrazione innanzitutto e con un futuro che sembra peggiore dello stesso presente.

Molte delle industrie ormai lavorano perché si sono inserite nel lavoro per la guerra. Un paese in cui si lavora soprattutto nelle industrie belliche dà il segno non solo del contrasto tra lavoro e interessi dei lavoratori ma nello stesso tempo rende di più i lavoratori schiavi non solo, come sempre, del profitto, ma anche di ciò che il Capitale e il profitto ha provocato: una marcia quasi inarrestabile verso la guerra, uno spostamento sempre maggiore della spesa totale verso l'industria bellica, verso i mercanti di morte, i signori della guerra.

Quindi non possiamo contare sulla classe operaia delle grandi fabbriche, non possiamo contare su un ampio spezzone di lavoratori impegnati nell'industria bellica e quindi la classe operaia sembra non avere obiettivamente la possibilità per assolvere al suo ruolo che in questo 1 Maggio viene anche enunciato: quello di essere la classe che lottando per i suoi interessi particolari e generali è in grado di rappresentare gli interessi generali e particolari di tutto il mondo del lavoro.

Le uniche manifestazioni serie che vanno appoggiate sono quelle che ci saranno in diverse città italiane in cui i lavoratori in lotta - di cui un'infima minoranza però è la classe operaia industriale - scenderanno in piazza con piattaforme, parole d'ordini assolutamente condivisibili che noi appoggiamo. E che in queste manifestazioni noi saremo presenti dove le nostre forze ce lo permettono e comunque sono manifestazioni a cui noi invitiamo a partecipare.

Ma non sono queste manifestazioni il punto di riferimento di una effettiva ripresa generale della lotta dei lavoratori, della lotta di classe, della lotta sociale e politica.

La questione fondamentale è politica. Non c'è solo il peggioramento delle condizioni degli operai e dei lavoratori. C'è il fatto che i governi sono diventati sempre più a servizio dei padroni, fino ad avere un governo dei padroni, per di più di stampo fascista - e tutti sappiamo che sono fascisti - e anche tra le masse molti fanno finta di non capire o hanno portato la loro coscienza all'ammasso. Questo governo ha un solo scopo: costruire nel nostro paese una forma di dittatura che è giusto chiamare moderno fascista.

In questo 1 Maggio vengono presentate le liste elettorali e assisteremo alle elezioni probabilmente più antidemocratiche degli ultimi tempi, fermo restando che “democratiche” le elezioni non sono mai state da tanti anni, fermo restando che una parte massiccia dei lavoratori lo ha capito e sostanzialmente non vota. Questo governo vuole trasformare le elezioni europee in un referendum a favore non solo del governo ma di Meloni e della sua famiglia, perché quel partito è una cosca familiare, è tutta una serie di personaggi che tutto hanno a cuore tranne che l'interesse dei lavoratori e delle masse popolari.

Questo fa sì che le elezioni non siano un luogo dove si possa lottare realmente per cambiare le cose, per opporsi, anzi stanno preparando leggi, vedi il premierato, per cui questo sarà reso ancora più difficile.

È impossibile non solo rovesciare i governi con le elezioni ma perfino arrivare al Parlamento con leggi con cui se prendi il 17% dei voti - perché questi sono stati i voti che ha preso al massimo Meloni, i voti reali, non le percentuali, senza gli astenuti - può portare a casa la maggioranza relativa e assoluta del Parlamento e può fare tutto quello che può e vuole.

È chiaro che le elezioni non sono né la via e né la soluzione oggi attraverso la quale gli operai, i lavoratori, le masse popolari possono far pensare i loro interessi di classe e possono incidere nella vita politica e nel cambiamento politico. Anzi. 

Prima come si dice normalmente - noi comunisti lo diciamo da sempre - si votava per scegliere quale coalizione, quale comitato d'affari dei padroni, deve comandare. Ora si va verso il fatto che anche nelle elezioni non c'è neanche questa libertà di scelta ma c'è la libertà di dire sì o no come un referendum di stampo fascista, mussoliniano, a chi attualmente governa. Basterebbe scrivere “Giorgia” sulla scheda elettorale. E questo inganno sostenuto dal controllo assoluto come mai c'era stato, neanche ai tempi di Berlusconi, delle tv della Rai, innanzitutto di quelle che sappiamo essere tv commerciali e politicamente già schierate nel campo dei ricchi e dei proprietari di queste tv, per non parlare dei giornali.

La Meloni vuole un referendum? Le masse devono dire NO. Ma non è così che avviene in queste elezioni. E quindi il NO è alle elezioni truccate volte a legittimare il potere sempre più assoluto del governo dei padroni, di questo governo dei padroni.

È chiaro che la non partecipazione alle elezioni non porta di per sé il cambiamento. È un segnale, ma non è un cambiamento, si tratta di una scelta che resta comunque una scelta passiva rispetto a un'azione attiva che consiste nella lotta. La lotta, la lotta.

La lotta generale sulle condizioni economiche dei proletari e delle masse popolari e lotta politica, perché è chiaro che non solo si tratta di rovesciare questo governo e con esso tutti i governi dei padroni, ma di costruire le condizioni sociali e politiche per un governo alternativo.

L'unico governo alternativo è il governo operaio.

Se le elezioni non sono la via, la via della lotta e della rivoluzione sono un'alternativa. In questo senso, in questo 1 Maggio lotta generale e rivoluzione dovevano essere le parole d'ordine che caratterizzassero il movimento operaio e popolare.

Infine il 1 Maggio in Italia è caratterizzato da questo ma anche in Italia esso vive dentro una situazione internazionale, perché l'Italia è un paese inserito nella catena internazionale degli imperialismi e con un ruolo di prima fila. E nel ruolo di prima fila esso è alleato principale, fino ad essere servo, dell'imperialismo americano.

L'imperialismo americano sta spingendo tutto il mondo verso la guerra. L'invasione russa dell'Ucraina viene utilizzata come pretesto per trasformare l'Ucraina in un avamposto della NATO, altro che indipendenza dell'Ucraina! Che certo è giusta e necessaria ma in un quadro in cui i lavoratori si liberino, in Ucraina, innanzitutto della loro classe dominante, che è fatta di oligarchi e fascisti, tipo Zelensky.

In questo contesto, in Ucraina ci vorrebbe una “Resistenza all'italiana”, in cui il proletariato e le sue forze armate combattono il nemico interno che in Italia furono i fascisti e cacciarono dal paese l'invasore nazista. In questo caso l'invasore sono anche truppe imperialiste occidentali che si preparano peraltro a essere presenti direttamente nello scenario e a togliere ogni dubbio che si tratta di una guerra inter-imperialista in cui i proletari di tutti i paesi sono chiamati a essere carne da macello.

Con la Palestina siamo alla guerra più criminale condotta contro un popolo degli ultimi anni, la guerra genocida, di sterminio, e la parola sterminio in questo caso è forse la parola principale per ricordare un precedente sterminio che ha caratterizzato la storia che è stato lo sterminio nazista, l'Olocausto, il genocidio non solo degli ebrei ma di ogni forma di opposizione.

34.454 morti, contati senza aver visto i telegiornali di stamattina, che allungano il numero delle vittime dei bombardamenti e delle uccisioni mirate. 77.575 feriti per modo di dire. Cifre che fanno a pugni col fatto che non ci sono ospedali e che quindi tanti feriti malati non sono censibili.

In un quadro in cui una metà, un 30%. di essi sono bambini, donne. La Palestina sta diventando non solo la terra in cui muoiono più bambini uccisi, punto e basta, ma anche la terra in cui sono tanti i bambini mai nati per le condizioni in cui avvengono, perfino la possibilità delle donne di partorire.

È certo che il cuore dei proletari e delle masse popolari più avanzate, quelli che non hanno venduto il cervello all'ammasso della classe dominante, della sua stampa e della sua televisione, è solidale col popolo palestinese ed è chiaro che nelle manifestazioni di oggi - in particolare quelle non organizzate dai sindacati confederali che sulla Palestina hanno fatto schifo col loro silenzio che in effetti è consenso - la Palestina sarà fortemente al centro di questa battaglia, di questa solidarietà. Come lo è stato il 25 Aprile.

La classe operaia in Italia è parte della classe operaia mondiale. Questa che è una verità banale è diventata una cosa non compresa, e quindi gli operai possono pensare di essere semplicemente gli operai italiani quanto tutti i padroni sono invece “multinazionali”, per così dire. D'altra parte, in un mondo caratterizzato dai padroni e dai loro servi su scala mondiale, è chiaro che l'unica alternativa sono gli operai, i lavoratori e le masse sfruttate.

I padroni alla fine, pur nelle loro contese, sono uniti su una cosa: scaricare la crisi, la guerra, il disastro ambientale, la crisi climatica, sulla pelle dei proletari e delle masse. Ed è chiaro, quindi, che quando si dice “proletari e popoli oppressi di tutto il mondo, unitevi!” non è solo una parola d'ordine che suona antica ma è l'unica soluzione, l’unica alternativa che esiste ai lavoratori del nostro paese per contribuire effettivamente a cambiare le cose, a fermare la marcia della guerra, della reazione, della miseria e a costruire le possibilità di “un altro mondo possibile”, che non può essere che un mondo caratterizzato dal potere della classe operaia e delle masse popolari.

1° Maggio proletario e internazionalista in città e nella zona del concertone

 



1°Maggio - Massicciamente coperte le portinerie Acciaierie e Appalto, con manifesti, volantinaggio

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martedì 30 aprile 2024

1° Maggio - Un manifesto che arriva alle fabbriche e ovunque ci siano lavoratori e lavoratrici interessate

L'incontro di Roma in un resoconto stampa - Corriere di Taranto. A presto il commento dello Slai cobas per il sindacato di classe

 Corriere di Taranto


Gianmario Leone
pubblicato il 29 Aprile 2024, 20:39

Nel primo semestre 2025 dovrebbe iniziare la costruzione presso lo stabilimento ex Ilva di Taranto di due forni elettrici la cui entrata in funzione è prevista nel secondo semestre 2027. Prenderanno il posto di Afo 1 e 4, mentre l’altoforno 2 dovrebbe continuare la sua attività. E’ quanto ha riferito il commissario di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria Giovanni Fiori durante l’incontro a Palazzo Chigi con Governo e sindacati dei metalmeccanici, presentando quella che oggi è ancora una bozza di piano industriale. Per il Governo presenti il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Calderone, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti in video collegamento, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.

Attualmente a Taranto, è in marcia solamente un altoforno su tre (Afo 4). Afo 1 e Afo 2 sono fermi per manutenzione. In particolare, Afo 1 (attivo dal 2001) è fermo da agosto 2023 per manutenzione e ancora mai ripartito da allora. Secondo quanto indicato dai sindacati, questo altoforno ha infatti bisogno del rifacimento del crogiolo per una questione di sicurezza dell’impianto, per un investimento pari a non meno di 100 milioni di euro. L’Afo 2 (attivo dal 2007) è fermo dal dicembre scorso per manutenzione e problemi tecnici. Secondo le indicazioni che sono state date ai sindacati nelle scorse settimane, sarà riattivato prima l’Afo 2 (entro 1-2 mesi) e successivamente Afo 1. Molto più complessa la situazione dell’altoforno 5, il più grande d’Europa, fermo dal 2015 e in una situazione impiantistica disastrosa, per cui anche oggi si è avuta l’ennesima conferma che non sarà rimesso in funzione. La bozza del piano industriale redatto dai commissari di Acciaierie d’Italia prevede dal 2025 la produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio da parte dello stabilimento ex Ilva di Taranto con i tre altoforni attualmente presenti tutti in attività. Tali livelli produttivi ci si aspetta che siano garantiti anche nel 2026 e successivamente grazie all’entrata in funzione di due forni elettrici, che sostituiranno due degli attuali altoforni. Come ha indicato il commissario Giovanni Fiori, infatti, gli Afo 1 e 4 saranno sostituiti da 2 forni elettrici la cui costruzione inizierà nel primo semestre 2025: ogni forno elettrico è previsto che garantirà una produzione di 2 milioni di tonnellate all’anno di acciaio. Siamo dunque alle mere previsioni e nulla di più.

Nella seconda metà di maggio invece, sono state invece programmate visite presso gli stabilimenti ex Ilva di società che hanno manifestato interesse per l’acquisto. E’ quanto detto dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, nel corso dell’incontro. Che ha informato i sindacati della possibilità che la settimana prossima ci sarà “un nuovo intervento per sbloccare ulteriori risorse per dare liquidita’ all’ex Ilva”, in attesa del via libera dall’Unione europea al prestito ponte da 320 milioni di euro. Si tratterebbe di altri 150 milioni di euro da prelevare dalle somme del patrimonio destinato in dotazione ai commissari straordinari di Ilva in AS (dopo i 150 milioni di euro prelevati grazie a quanto previsto dall’art. 39 del decreto legge n. 19 del 2 marzo sul PNRR). Il tutto in attesa di ottenere nei prossimi mesi l’ok da parte della Commissione Europea al prestito ponte di 320 milioni di euro previsto dal governo, senza le quali il siderurgico sarebbe destinato alla chiusura immediata. Risorse che come tutti sanno sono del tutto insufficienti a far ripartire il siderurgico, che serviranno da un lato a pagare gli stipendi per i prossimi mesi e forse a garantire una minima ripartenza per le ditte dell’indotto in relazione alla manutenzione degli impianti.

Molto scettici, come prevedibile, i sindacati. Per Michele De Palma, segretario generale della Fiom-Cgil, i fondi prospettati per l’ex Ilva non bastano e serve prima di tutto rispettare il piano del 2018 e riportare tutti i lavoratori al lavoro. “Il punto fondamentale che abbiamo esposto ai commissari e al governo è che le persone devono tornare a lavorare” ha detto De Palma lasciando Palazzo Chigi dopo quasi quattro ore di incontro con il Governo e poi con i commissari di Acciaierie d’Italia sulla situazione dell’ex Ilva. “Noi non siamo più disponibili a discutere di piani di lungo periodo. Noi abbiamo un piano che deve essere applicato che è quello del 2018 e per poterlo realizzare servono le risorse. Il Governo ci ha detto che sono in via di intervento per 150 milioni e in più che ci dovrebbero essere i famosi 320 milioni che voi ricorderete fu un oggetto della discussione precedente con il governo e questi per poter essere autorizzati come prestito devono passare dall’autorizzazione della Commissione europea”, ha detto De Palma, spiegando poi che “noi pensiamo che il tempo che è passato fino ad ora sia stato fin troppo, che quei 320 milioni servivano subito, che 150 più 320 continuiamo a dire non bastano: le nozze con i fichi secchi non si fanno e per poter tornare a investire e rimettere a lavoro le persone è necessario che ovviamente si facciano le azioni di manutenzione che sono necessarie per gli impianti e si facciano ripartire in sicurezza e in salute gli impianti di produzione degli altoforni che in questo momento sono fermi”. Inoltre, ha concluso De Palma, “ultima questione, i commissari hanno tracciato delle linee guida per un piano. Noi gli abbiamo detto che per quanto ci riguarda il piano, l’unico piano che noi pensiamo, è’ quello che abbiamo sottoscritto e negoziato e quindi per quanto ci riguarda evidentemente noi vogliamo l’applicazione di quel piano che riporta tutte quante le lavoratrici e i lavoratori al lavoro in sicurezza e in salute”.

“Ci hanno descritto una situazione peggiore di quella che avevano trovato. C’è la necessità di un intervento, un intervento importante. Il Governo decreterà nei prossimi giorni 150 milioni di finanziamento. Il piano è funzionale a dare le garanzie in Europa rispetto ai 320 milioni di prestito”. Cosi’ il segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, al termine del confronto sul dossier ex Ilva con Governo e commissari, a Palazzo Chigi. “Ci hanno presentato un piano – ha spiegato – che rimette in piedi oggi gli attuali impianti, quindi c’è un’operazione rispetto ad Afo 4, per renderlo potenzialmente in grado di produrre quanto più possibile, e cerca di rimettere in sesto Afo 2 e Afo 1”. “Oggi quello che ci è stato presentato è funzionale a restituire il prestito che ci auguriamo l’Europa metta in cantiere perché’ senza quello l’azienda non è in grado di continuare. Nel corso del confronto, non hanno parlato di esuberi, ma di mantenimento rispetto all’attuale occupazione”. Per quanto riguarda la produzione di quest’anno, ha indicato il leader della Fim, “pensano di arrivare intorno ai 2 milioni di tonnellaggio”.

Ancora più duro Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, che boccia totalmente la bozza del piano industriale per l’ex Ilva predisposta dai commissari di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. “Nessuna condivisione di piano, nessun piano. Quando lo conosceremo nei dettagli diremo noi qual è la nostra e non saremo ovviamente teneri come non lo siamo stati con nessuno. Noi siamo rigorosamente rispettosi delle istituzioni ma rispettiamo prima i lavoratori e le comunità dove gli stabilimenti insistono”, ha detto Palombella uscendo da Palazzo Chigi. Per il segretario della Uilm, “rimangono confermate le intese sottoscritte e soprattutto l’accordo del 2018, che per noi resta valido fin quanto non se ne negozia un altro”, sottolineando che “data la genericità dei loro approfondimenti, noi ci siamo limitati a dire che non condividiamo il metodo e non condividiamo la sostanza”. “Per noi una discussione sul piano industriale che investe migliaia di lavoratori e prefigura l’attività produttiva di diversi stabilimenti e soprattutto che discute, anche se lo lambisce, il piano del 2018, per noi questo di per sé è un elemento di grande preoccupazione”, ha affermato Palombella, sottolineando che “per noi rimangono confermate le intese sottoscritte e soprattutto l’accordo del 2018, che per noi resta valido fin quanto non se ne negozia un altro. E siccome noi non abbiamo nessuna volontà di negoziare un ulteriore accordo, perché quell’accordo stabilisce la difesa occupazionale di migliaia di lavoratori, di lavoratori in amministrazione straordinaria ex Ilva e anche dei lavoratori in AdI. Quindi noi abbiamo voluto fino in fondo capire qual è stata l’ispirazione e se l’ispirazione di questa bozza di piano è quello di presentarla all’Unione europea per poter ricevere il finanziamento, è un problema che devono fare loro e assumersi le responsabilità”...

...“L’incontro odierno aveva la finalità di presentare una bozza in termini generali del cosiddetto piano industriale e di rilancio di Acciaierie D’Italia, spiegando nel merito il punto di partenza della gestione dei commissari, resa complessa dalle scelte industriali e commerciali che hanno interessato gli stabilimenti di Acciaierie d’Italia e che hanno portato ai minimi termini la produzione che si attesta a 1 milione e 600mila tonnellate. Il Governo ed i Commissari hanno quindi spiegato l’intenzione di creare le condizioni per far marciare due impianti entro fine agosto, portandoli a 3 in marcia entro il 2025 e quindi facendo salire la produzione a 6mln di tonnellate di acciaio all’anno – commentano al termine della riunione Francesco Rizzo, Sasha Colautti Esecutivo Nazionale Confederale Unione sindacale di Base -. In tale contesto, viene affrontato anche il tema del futuro degli stabilimenti Ex Ilva, nel quadro della transizione ecologica europea, dove l’indicazione è quella della costruzione di 2 forni elettrici, con l’obiettivo di mantenere invariato il target produttivo di 6mln di tonnellate, un numero ben al di sotto degli obiettivi sottoscritti nel 2018. Emerge con altrettanta chiarezza che viene escluso in tale percorso il rifacimento dell’altoforno 5″. Per l’USB “bisogna entrare subito nel merito degli argomenti trattati oggi, mettendo giù con chiarezza una ipotesi organica di metodo di discussione e di programmazione delle scelte industriali oggi trattate solo superficialmente. Bisogna soprattutto parlare dei lavoratori e del modo in cui si affronta il piano di garanzia e messa in sicurezza di tutti i lavoratori (visto che con i forni elettrici si avrebbero 4-5 mila esuberi”, anche dei 1700 lavoratori di Ilva in AS oggi lasciati fuori dalla discussione. Stesso discorso per i lavoratori dell’appalto su cui anche oggi abbiamo chiesto conto al Governo. USB ha già fornito delle proposte concrete, a previsione di impatti occupazionali pesanti. Per noi, l’intervento va prodotto prima, garantendo regole innovative sul diritto al riconoscimento di lavoro usurante, l’amianto, l’accompagnamento alla pensione. La sostanza è che questa bozza di piano industriale apre il tema dei lavoratori e di come gestirli, lo diciamo con estrema chiarezza. Il Governo risponda alle proposte presentate da USB, per trovare soluzioni a lavoratori in carne ed ossa che in questo momento stanno facendo la fame e che non possono aspettare i tempi lunghissimi prospettati di realizzazione di questo piano industriale tutto da verificare” concludono.

Sul mandato di arresto per Netanyahu - Dal Comitato #iostoconlapalestina di Taranto

 


Harretz, quotidiano israeliano, riporta che questa settimana verranno notificati i mandati di arresto della Corte penale internazionale dell’Aja contro Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo di Stato maggiore delle forze di difesa israeliane Ertz Halevi. La Corte sta infatti indagando sulle azioni di Israele nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza in un caso tenuto separato dagli altri compresa l'accusa di genocidio presentata dal Sudafrica.

A differenza della Corte internazionale di giustizia che sta esaminando la causa intentata dal Sudafrica contro Israele, la Corte penale internazionale si occupa dei casi contro singoli individui. Nonostante Israele, così come gli Stati Uniti, non sia firmatario dello Statuto di Roma del 1998 che ha permesso la nascita della Corte nel 2002, chi ne fa parte è invece la Palestina. Proprio le campagne militari di Israele nella Striscia di Gaza, prima Piombo Fuso e poi l’ancora più sanguinosa Margine di Protezione, spinsero l’Autorità Nazionale Palestinese a chiedere alle Nazioni Unite di poter entrare a far parte del gruppo di 124 Stati che hanno aderito allo Statuto, accettando, tra le altre cose, di favorire le indagini della Corte sul proprio territorio, in questo caso quello riconosciuto dalle Nazioni Unite secondo i confini precedenti al 1967.

Così, dal 1 aprile 2015, la Palestina è entrata ufficialmente a far parte della Corte Penale Internazionale. Già allora la decisione fece arrabbiare Israele che, come ritorsione (tanto per cambiare), decise di congelare 106 milioni di euro di tasse raccolte per conto delle autorità palestinesi.

Gli episodi oggetto di indagini da parte della Corte sono numerosi.

Innanzitutto la reazione militare sproporzionata con quasi 35mila vittime nella Striscia, può essere considerata una punizione collettiva, ritenuta un crimine di guerra dalle Convenzioni di Ginevra, in violazione del principio di proporzionalità. Inoltre, sono stati commessi attacchi intenzionali contro

civili e beni civili, oltre che al personale, ai veicoli e alle strutture di personale impegnato nell’assistenza umanitaria. In questo senso, basta ricordare i numerosi raid su strutture dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), l’attacco ai convogli Unicef e della ong Wck, i bombardamenti sugli ospedali e le strutture sanitarie dove operano anche medici di organizzazioni internazionali, così come quelli contro le ambulanze impegnate nel soccorso dei civili vittime dei raid. A questi si aggiungono gli attacchi ai luoghi di culto, come le numerose moschee demolite dalle bombe israeliane.

Uno dei punti su cui, secondo le fonti citate dai media, la Corte Penale Internazionale si sta concentrando maggiormente è il possibile ostacolo volontario di Israele all’afflusso di aiuti umanitari in Palestina. Strategia che ha contribuito ad affamare volontariamente la popolazione violando le convenzioni internazionali in materia di diritti umani. In questo senso, oltre all’ostacolo all’arrivo degli aiuti, a contribuire potrebbero essere stati anche gli inviti alla popolazione ad abbandonare le proprie case per sfollare verso il Sud della Striscia. Un trasferimento che potrebbe essere considerato coatto dato che è avvenuto minacciando nuovi raid.

Intanto il ministro degli Esteri Israel Katz ha dato istruzioni a tutte le ambasciate del mondo di prepararsi immediatamente per un'ondata grave anti israeliana proprio a causa dell'intervento dell'eventuale azione della Corte penale internazionale. I media israeliani hanno riferito anche che gli USA starebbero attuando un disperato sforzo diplomatico per impedire alla Corte dell'Aja di emettere questi mandati in settimana dietro pressione di Netanyahu che avrebbe fatto telefonate continue durante il weekend. Negli ultimi giorni sono tanti gli sforzi egiziani per rilanciare i colloqui di cessate il fuoco nel tentativo di fermare l'offensiva di terra israeliana a Rafah ma i bombardamenti nella zona continuano comunque a mietere vittime. Anche se Israele ha allargato le maglie per la consegna degli aiuti, la situazione a Gaza resta drammatica, un portavoce del programma alimentare mondiale ha recentemente affermato che l'aumento dei livelli di aiuto è un buon segno ma che è troppo presto per dire se il rischio di carestia sia stato scongiurato.

Intanto in Palestina non sono ammessi i giornalisti, non sono ammessi osservatori dei diritti umani, nessun testimone a parte le vittime stesse.

Di certo la comunità internazionale non può ridursi a pochi interventi umanitari ai margini di una catastrofe.

Bisogna fermare l’eccidio in corso a Gaza e la pulizia etnica della Palestina ed imporre il rispetto del diritto internazionale ad Israele.