giovedì 23 gennaio 2014

La motivazione della Cassazione su sequestro beni a Riva sembra scritta dai Riva

"...Il provvedimento con cui il gip di Taranto, Patrizia Todisco, ha sequestrato, nei mesi scorsi, beni e conti del gruppo siderurgico Riva presenta «aspetti di abnormità strutturale che lo pongono fuori dall'ordinamento con l'esigenza della sua conseguente rimozione».
È netto il pronunciamento dei giudici della Corte di Cassazione a proposito dell'ordinanza con cui il gip, nell'ambito dell'inchiesta sull'inquinamento dell'Ilva, a partire da maggio 2013 aveva messo sotto chiave 8,1 miliardi di euro partendo da Riva Fire ed estendendosi alle società collegate tra cui Riva Energia, Riva Acciaio e Muzzana Trasporti. Un maxi sequestro che la Cassazione ha annullato...
... la Suprema Corte dice che è stata autorizzata «una estensione del sequestro preventivo in relazione a oggetti (azioni, quote sociali, cespiti aziendali ecc.) e a destinatari (le società ricorrenti, neanche sottoposte a indagine riguardo ai fatti di reato oggetto di contestazione) del tutto diversi rispetto a quelli indicati nell'originario decreto»... Ma soprattutto, rileva la Cassazione, non vengono spiegate «le ragioni dell'estensione del sequestro rispetto a soggetti e beni ricompresi nel provvedimento cautelare genetico, omettendo peraltro di specificare i motivi per i quali tali beni – facenti capo a società giuridicamente autonome anche se controllate rispetto a quelle coinvolte nell'indagine – siano stati considerati profitto dei reati associativi e ambientali»...
E ancora... «non è possibile sulla base di una relazione di controllo o di collegamento societario solo genericamente prospettata ricavare l'esistenza di alcun nesso logico-giuridico tra quest'ultimo e il conseguimento di eventuali illeciti benefici da parte delle controllate...". 

Quindi, dice la Cassazione, con la sentenza n. 2659/14 che ha restituito ai Riva i fondi oggetto di sequestro, che non sarebbe possibile desumere alcun tipo di relazione tra le risorse patrimoniali delle società: Riva Fire e Ilva spa. Quindi non ci sarebbe un legame tra le condotte che hanno determinato l’acquisizione di un illecito profitto e il conseguimento di eventuali benefici da parte delle controllate, che sarebbero soggetti "completamente estranei" alla commissione degli illeciti.

MA QUESTO E' FALSO! E DI FATTO LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE ASSUME LA STESSA POSIZIONE E POLITICA DEI RIVA

Il legame tra le varie società dei Riva oggetto del provvedimento della magistratura di Taranto c'è eccome. Negli anni i Riva hanno fatto manovre societarie e finanziarie proprio per nascondere una mega truffa, per sottrarre fondi sia al fisco sia ad inchieste della magistratura, sia soprattutto al loro dovuto utilizzo per mettere in sicurezza L'Ilva di Taranto e fermare l'inquinamento in città; un gioco di incastri societari per far risultare una situazione di entità di utili in Ilva spa diversa da quella reale, in cui l'Ilva di Taranto era ed è la fonte d'oro, da cui i Riva hanno attinto i profitti. I fondi che stanno nella Riva Fire e in altre società collegate sono stati fatti all'Ilva di Taranto, sullo sfruttamento e sul sangue degli operai!
Basta solo vedere la foto che riportiamo che mostra, una parte, dell'impero dei Riva, in cui tutte le società hanno a capo un componente della famiglia Riva, non sono affatto "autonome", ma intrecciate o costruite ad "incastro".

Per questo era legittimo il sequestro anche dei fondi delle altre società. Con questa sentenza della Cassazione invece si rende legittima l'azione di truffa fatta dai Riva mettendo di fatto in piedi un'"associazione a delinquere"

Noi l'abbiamo spiegato e denunciato nel Dossier -  "L’impero economico della famiglia Riva -  
quello che ha e soprattutto quello che ha fatto per mettere al riparo i suoi fondi" - il legame delle società. 

NE RIPORTIAMO UNO STRALCIO

"...l’Ilva è controllata per l’87% del capitale dalla Riva Fire, la quale, risalendo negli intrecci delle società, è posseduta per il 39,9% dalla Luxpack di Curaçao attraverso le società lussemburghesi e la holding olandese. Ma a chi è intestato il restante pacchetto del 60,1% della Riva Fire? Dietro c’è sempre la famiglia milanese, ma la proprietà è stata schermata da una società fiduciaria. Infatti il 35,1% della Riva Fire è nelle mani della Stahlbridge Srl, ma se vi va a vedere di chi è questa società si scopre che la totalità del capitale è intestata fiduciariamente alla Carini società fiduciaria di amministrazione e revisione di Milano. La stessa Carini fiduciaria controlla anche il restante pacchetto del 25% della Riva Fire. Una quota nei paradisi fiscali, un’altra dietro il paravento di una fiduciaria.
Ma facciamo un passo indietro sulle operazioni finanziare che hanno al centro soprattutto i profitti realizzati all’Ilva di Taranto.
Nell’inchiesta emersa a maggio 2013 della GdF di Milano su mandato della Procura milanese è risultato che tra il 1995 (anno dell’acquisizione dell’Ilva di Taranto) e il 2006, la famiglia Riva, con a capo Emilio Riva, il vero patron, ha portato all’estero 1,2 miliardi di euro sottraendoli alle casse della Riva Fire, e occultandoli in otto trust domiciliati nel paradiso fiscale di Jersey. Fondi, per buona parte frutto dell’attività delle industrie siderurgiche – in primis l’Ilva di Taranto e di finte compravendite di rami delle stesse aziende del loro impero – per cui vendevano a loro stessi percentuali societarie a prezzi gonfiati e poi, tramite i trust, facevano transitare il denaro sui propri conti anzicchè su quelli delle aziende (che quindi avevano bilanci falsati) e senza pagare le tasse.
Questo è avvenuto con tre operazioni societarie, fra cui la cessione dell’11,75% dell’Ilva Spa nel luglio 2003. Le tre operazioni hanno permesso ai due fratelli di generare una provvista complessiva di 1,39 miliardi di euro, dei quali 1,18 sono stati “rimpatriati giuridicamente” (il patrimonio è stato cioé regolarizzato ma è rimasto all’estero) con lo scudo fiscale del 2009 voluto da Tremonti...
.... «È comprovata – afferma ancora il giudice di Milano – non solo la creazione di provviste occulte all’estero formate integralmente con denaro di pertinenza di società di capitali depauperate in modo definitivo e non reversibile, ma anche la esclusiva destinazione di tali somme al perseguimento di fini estranei agli interessi sociali»...
...Insomma, la proprietà dell’Ilva (il pezzo più importante del gruppo siderurgico fondato dagli imprenditori milanesi) è schermata da sette società o trust collocati rispettivamente in Italia, Lussemburgo, Olanda, Curaçao e Jersey....
....Mentre a Roma, si prova la soluzione “politica”, negli studi dei professionisti dell’Ilva si continua a lavorare. - Se è datato 19 dicembre dell’anno scorso l’atto notarile della scissione del ramo d’azienda da Riva Fire a favore di Riva Forni Elettrici, cinque giorni dopo viene pubblicata sulla G.U. la Legge 231/12 salva-Ilva.
Dunque, a questo punto, nelle architetture societarie esistono tre poli di attrazione: l’Ilva, che di fatto è separata da tutto il resto, le acciaierie straniere, i prodotti lunghi, un segmento che nel gruppo Riva è alimentato dai forni elettrici e non dal ciclo integrato di Taranto.
Quindi mentre il governo provvedeva a tutelare gli interessi di Riva, questi portava avanti una serie di operazioni straordinarie che rendono più facile disporre del gruppo o di parti di esso, di fatto isolando Ilva e provando a proteggere il resto del gruppo industriale e finanziario da ogni iniziativa giudiziaria...".

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