mercoledì 10 agosto 2016

Pati Luceri: Uno sciopero della fame in nome dei migranti rinchiusia Restinco e dei detenuti Kurdi e palestinesi.

ReteKurdistan

Il salentino Pati Luceri al 5° giorno di sciopero della fame per denunciare “le condizioni disumane dei migranti nel CIE di  Restinco (Br) e la detenzione illegale dei detenuti politici in Turchia e Israele”Uno sciopero della fame per accendere un faro sulle condizioni dei migranti richiusi nel Cie di Restinco e la detenzione illegale dei detenuti politici in Turchia e Israele. Pati Luceri, attivista politico di lungo corso, sceglie la strada più difficile per dare voce a chi normalmente non ce l’ha. Al 5° giorno di sciopero della fame, racconta la sua esperienza a Paolo Rausa, giornalista, scrittore e regista teatrale spiegandone le motivazioni.

“Sono contro per principio (allo sciopero della fame, ndr) ma ora sono costretto a richiamare l’attenzione sui fatti di casa nostra e sulla detenzione illegale di molti attivisti politici in Turchia, Ocalan e i curdi, e in Israele, dove centinaia di detenuti giacciono rinchiusi nelle carceri senza incriminazioni e senza processi”.

In particolare Pati ricorda il detenuto palestinese Bilal Kayed, in sciopero della fame a sua volta da 50 giorni:“A metà giugno sarebbe dovuto tornare a casa ad Asira al-Shamaliya, in Cisgiordania, dopo aver passato quasi 15 anni nelle prigioni israeliane, e quando le autorità di occupazione gli rifiutarono il rilascio e lo misero in detenzione amministrativa, diede inizio allo sciopero della fame” racconta Pati.

La sua azione è accompagnata dal contemporaneo sciopero di numerosi militanti di Hamas e del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina. Ricorda l’attività instancabile della Rete Kurdistan di Lecce per la libertà e l’autodeterminazione del popolo kurdo e del suo leader Ocalan, tuttora detenuto e relegato nell’isola di Imrali. Ma la denuncia di Pati va oltre, non si ferma e si indirizza contro il CIE di Restinco (Br), un luogo dove vengono reclusi i migranti, rei di scappare da condizioni di guerra nei paesi di origine. “La mia battaglia è per mettere a fuoco l’attenzione e la tensione sul CIE di Restinco e contribuire al dibattito per allargare il confronto ed ampliare la solidarietà riguardo i fratelli e le sorelle migranti trattenuti nel CIE e dei prigionieri politici che lottano per l’autodeterminazione della loro terra. Pur con tante contraddizioni” conclude, “cerco di dare il mio contributo all’abbattimento di ogni violenza contro il proprio simile e di tutti i senza voce, a partire da quelli reclusi nel CIE di Restinco”.

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