venerdì 23 settembre 2016

Verità per Taranto: in Ilva un muro di omertà


Questa volta è stata la vita di Giacomo a spezzarsi nell’industria della morte: l’Ilva di Taranto. Un ragazzo che in quel lavoro riponeva la speranza di una realizzazione sociale, che ora gli è stata negata per sempre. Perché l’ilva è questo, qualcosa che toglie a tutti, toglie il diritto di respirare, di giocare, di lavorare e di ritornare a casa dai propri affetti per sempre.
Ma come ogni volta a schiacciare i bottoni del mostro di acciaio, ci sono uomini che di umano sembra non avere più nulla. Così emerge dal toccante racconto di Vincenzo De Marco. Vincenzo ci ha mostrato la paura di chi lavora ogni giorno in una industria fatiscente, il dolore di aver perso 4 amici e colleghi, ma ancor di più ci ha reso partecipi di atteggiamenti disumani di un caporeparto che si pone di fronte alla vita e alla morte senza rispetto alcuno.
È questa l’Ilva, l’abbiamo sempre pensato. Uno Stato nello Stato. Dietro quel muro alto e impenetrabile, sapevamo dell’ esistenza di una legge che va oltre diritto di uno Stato democratico e civile,  oltre i diritti della costituzione, oltre  il naturale e semplice sentimento di umanità. Un muro di cemento e di omertà, che Vincenzo De Marco ha voluto rompere, così come pochi altri operai hanno fatto prima di lui.
Grida di dolore e di richieste di giustizia che rimangono tragicamente inascoltate, perché nei luoghi di potere ci arrivano solo i potenti. Laghi, per esempio, che giustifica al parlamento la morte del povero Giacomo come un semplice errore umano, dovuto alla sua posizione sull’impianto. Potesse parlare Giacomo, scopriremmo forse un’altra verità. Ma i potenti non ascolteranno Giacomo, ma possono ancora ascoltare Vincenzo e quei pochi operai come lui.
Questi uomini, questi padri, questi lavoratori, che spesso vengono lasciati soli dai loro colleghi, perché parlare può essere rischioso, anzi lo è di sicuro, così come denuncia Vincenzo De Marco sui social: “a breve ritorsioni contro di me”. Per questo chiediamo al Presidente della Regione Emiliano di far seguire ai proclami i fatti. In Ilva le storie di mobbing hanno concesso al mostro fatto di carne (uomini) e ferro (veleni) di mettere in ginocchio una intera provincia.
Senza dimenticare che oltre alle più rumorose morti bianche ci sono le morti di bambini, giovani e cittadini tutti, che restano nel silenzio, tra i letti degli ospedali (di quelli che restano) e delle case che sanno di carbone e farmaci. Morti che talvolta fanno capolino negli studi sotto forma di percentuali, dietro le quali  si nascondo nomi e cognomi , vite spezzate, energie fondamentali per la nostra comunità.
Cosa deve accadere ancora affinché questa macchina politico-industriale scenda sul piano umano e civile e riconosca a tutti la libertà di vivere? Ancora oggi, dopo le numerose morti bianche, dopo il sequestro del siderurgico, dopo i dati sul l’incidenza di morte e malattia, dopo gli sforamento eclatanti di diossina registrati, dopo le ordinanze, gli abbattimenti di bestiame ed un processo in atto, siamo qui ancora a chiedere le stesse cose: verità e giustizia per Taranto.
Comitato Verità per Taranto

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