mercoledì 3 maggio 2017

Il 4 maggio processo per la manifestazione contro Riva e il governo del 30 marzo 2012

RIVA PATTEGGIA E LAVORATORI, GIOVANI, DONNE VENGONO CONDANNATI. 32 tra lavoratori, militanti dello Slai cobas sc, tra cui i suoi coordinatori, giovani, compagni saranno domani, giovedì 4 maggio, sul banco degli imputati, per respingere una condanna al pagamento di quasi 4mila euro ciascuno per aver legittimamente manifestato il 30 marzo 2012 al Tribunale, mentre Riva e i capi avevano contemporaneamente organizzato una marcia sediziosa, organizzata con sistemi illegali. Nè allora Riva e i capi subirono alcun provvedimento giudiziario, nonostante un'esposto presentato proprio quel giorno dallo Slai cobas; nè ora, nel processo Ilva, rischiano reali e pesanti condanne e sanzioni pecuniare (anzi, è in pieno corso l'accettazione del patteggiamento per fare uscire i Riva dal processo); INVECE LAVORATORI, GIOVANI, DONNE CHE LOTTAVANO E LOTTANO CONTRO PADRONI E GOVERNO, PER I DIRITTI ALLA SALUTE, AL LAVORO VENGONO REPRESSI...
Per capire bene cosa accadde realmente quel giorno, riportiamo dal libro "Ilva la tempesta perfetta", stralci della cronaca commentata e l'esposto presentato dallo Slai cobas sc.


















 
DAL LIBRO: ILVA LA TEMPESTA PERFETTA
"...Quanto è accaduto a Taranto venerdì 30 marzo, è una scesa in campo aperto del fascismo padronale che usa mezzi eversivi per imporre i suoi interessi e la sua politica. 
Partiamo dai fatti. Venerdì 30 i dirigenti e i capi dell'Ilva si trasformano in attivisti/squadristi. Girano tra i lavoratori dicendo che il 30 devono TUTTI andare alla manifestazione sotto il tribunale, diffondono allarmismo affermando che se il giudice va avanti in questa inchiesta
l’Ilva può chiudere; minacciano, ricattano: “vieni, altrimenti…”, “se chiudono dei reparti, il primo nella lista sarai tu”. 
Il venerdì 30 è di fatto una “libera uscita” forzata per chi sta in fabbrica. Gli operai sono intimoriti o minacciati, o confusi dall’allarmismo diffuso sul rischio dei posti di lavoro. Venerdì, poi, avviene un incredibile capovolgimento: mentre quando vi sono scioperi sindacali l’Ilva punisce gli operai, togliendogli una parte del premio di produzione, il 30 gli operai rischiano di essere puniti se non partecipano alla manifestazione.
Si parla di ferie forzate per chi osa dire che non andrà alla manifestazione. Agli operai delle ditte dell’appalto Ilva – ai cui padroni la direzione Ilva ha mandato un “messaggio” che fa capire che potrebbero perdere l’appalto se il venerdì lavorano – le aziende hanno dette che è inutile che vanno in fabbrica tanto non si lavora. Vengono richiamati operai in cassintegrazione solo per la giornata del 30 marzo per essere rimessi in cig il 2 aprile, lo stesso vengono richiamati in fabbrica gli operai che hanno il turno di riposo; gli operai che hanno fatto il turno di notte sono costretti a rimanere per andare alla manifestazione; si dice che l’azienda paghi anche gli straordinari.
Di fatto venerdì 30 viene attuata una sorta di serrata aziendale.
In tutto questo i delegati e sindacalisti o sono spariti o sono penose pecorelle. Il giovedì mattina, al 1° turno, mentre lo Slai cobas per il sindacato di classe strappava da tutte le bacheche delle portinerie i volantini dei capi, i sindacalisti della Fiom facevano finta che non stesse accadendo nulla.
Anche all’interno dell’Ilva, solo dove vi sono operai dello slai cobas per il sindacato di classe si contrasta attivamente l’azione dei capi.
L’organizzazione della manifestazione del venerdì è sotto regia aziendale. L’azienda mette a disposizione bus interni ed esterni per cammellare gli operai. Si vedono striscioni tutti della stessa fattura, fatti in serie, fondo bianco e scritte nere, sembrano usciti poche ore prima dalla stamperia (dell’Ilva); non c’è una bandiera rossa; anche i fischietti vengono forniti dai capi; stranamente le tute, i caschi degli operai sono puliti e sembrano nuovi (anche quelli degli operai dell’indotto, che normalmente hanno tutt’altra pulizia).
E comincia la “marcia”. Giacchè il Tribunale è stato vietato (a tutti) dalla questura, la manifestazione dell’Ilva si concentra sotto la prefettura e si mostra poi nelle strade centrali della città. Il clima nei pezzi dei capi ha un esplicito indirizzo eversivo (in cui il paragone è con la marcia dei 40mila della Fiat o peggio). I toni sono da “chiamata alle armi” e sono ben caratterizzati dagli striscioni “a marchio di fabbrica”: “Noi non ci stiamo - giù le mani dal nostro stabilimento”, “…dopo tutti a casa del sindaco e del gip”, “NO alle speculazioni personali sulla pelle dei lavoratori”, “fuori le bugie dalle aule della giustizia”, ecc. ; gli atteggiamenti dei capi sono arroganti e ostentati.
Nei pezzi degli operai, invece, sembra la “marcia della paura”, nei due sensi, sia per il clima creato dall’azienda, sia per la confusione/preoccupazione sulla possibile chiusura dello stabilimento..."

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