giovedì 10 maggio 2018

CASSAZIONE: il tempo tuta è orario di lavoro e va retribuito come tale. ALL’ILVA LO AVEVA DETTO CHIARO LO SLAI COBAS, MA OO.SS E AZIENDA HANNO FREGATO GLI OPERAI

La Corte di Cassazione l’ha ultimamente ribadito.
Il tempo impiegato dal lavoratore per indossare la tuta, la divisa o il camice va considerato a tutti gli effetti come orario di lavoro e per questo deve essere retribuito in busta paga.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione che ha stabilito che per alcune attività lavorative – quale ad esempio l’inserviente della mensa - il camice non si può indossare a casa per ragioni di igiene (o la tuta gli operai dell’Ilva non possono portarsela a casa, perché porterebbe fuori sostanze inquinanti – ndr); per questo spetta all’azienda adibire uno spogliatoio dove permettere ai dipendenti di cambiarsi.
Lo spogliatoio va considerato a tutti gli effetti come ambiente di lavoro ed è per questo che il tempo impiegato per cambiarsi va retribuito e compreso nell’orario di lavoro. Indossare la tuta è un’attività obbligatoria ai fini dello svolgimento di alcune attività professionali. Il tempo necessario per il cambio va dunque considerato come orario di lavoro e – indipendentemente da quanto stabilito dal Ccnl di riferimento – va pagato”.

Gli operai dell’Ilva ricordano che il pagamento del tempo cambio tuta come orario di lavoro a tutti gli effetti era stato posto anni fa all’Ilva dallo Slai cobas sc, (visto che fino ad allora nessun sindacato lo aveva sollevato e il tempo del cambio-tuta era gratis per l’azienda e si andava ad aggiungere alle 8 ore di lavoro). Si raccolsero centinaia di firme e c’erano tutte le condizioni per ottenere questo diritto.
Ma a quel punto i sindacati, fermi e silenti fino ad allora, si svegliarono, ma per bloccare l’iniziativa dello Slai cobas e fare un accordo vergognoso con l’azienda, per cui un diritto certo diventava una concessione dell’azienda. 
Da allora gli operai invece di avere il pagamento del tempo tuta come orario di lavoro, come era ed è legittimo, prendono solo una sorta di indennità, di importo inferiore al dovuto e tra l’altro “concesso” sotto il ricatto della firma di una liberatoria con cui hanno dovuto rinunciare ad ogni ulteriore pretesa e ad avere il mancato pagamento degli anni passati.

GLI OPERAI SONO STATI, QUINDI, DERUBATI DEL LORO DIRITTO DA SINDACATI E AZIENDA E LETTERALMENTE TRUFFATI.

Gli operai ancora una volta hanno avuto paura (solo pochissimi si rifiutarono di firmare la liberatoria) e hanno perso. Con lo Slai coba avrebbero vinto!

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