venerdì 18 maggio 2018

“Ci si può rifiutare di lavorare se manca la tutela della salute“ - Questo è previsto dal TU sulla sicurezza e da sentenze della Cassazione - MA PERCHE' NON VIENE MAI ATTUATO DAI SINDACATI, DAGLI RLS IN ILVA?

Riprendiamo una sentenza del 2012 della Cassazione, in un certo senso innovativa perchè non parla solo di “sicurezza” ma anche di tutela della salute; essa, pur relativa a una situazione specifica, alla presenza di amianto, stabilisce un principio valido per ogni situazione di rischio alla salute e alla vita. 
Quando nei reparti in Ilva, i sindacati presenti, gli Rls, invece di lamentarsi, di denunciare una situazione permanentemente a rischio infortuni, applicheranno questa disposizione prevista anche dal TU sulla sicurezza?

”Il datore che non adotta le misure necessarie di tutela della salute sul lavoro è da considerare inadempiente rispetto al lavoratore. Questa condotta giustifica dunque, in base al l’articolo 1460 del Codice civile, il rifiuto di lavorare in ambienti non sicuri e fa permanere, a carico del primo, l’obbligo di retribuire chi si sia astenuto in ragione di quell’inadempimento. È l’interpretazione che si desume dalla sentenza della Cassazione n. 18921 del 5 novembre 2012 (sezione Lavoro).
Il caso riguarda una parte del personale di una grande officina, nei cui locali erano state svolte
lavorazioni che avevano determinato un inquinamento da amianto. Nonostante la bonifica realizzata dal datore, i dipendenti, preoccupati anche dai contenuti di un verbale di sopralluogo svolto da specialisti della società, chiedono la sospensione del lavoro e ulteriori interventi. Il datore li nega e i lavoratori si astengono dal continuare a lavorare, pur rendendosi disponibili a farlo in altri locali aziendali. Intervenuto il giudice penale, il pericolo alla salute è scongiurato e le maestranze decidono di ritornare in azienda. Il datore, a quel punto, rifiuta, però, di pagare la retribuzione per il mese e mezzo di astensione. Inevitabile il ricorso da parte dei dipendenti al giudice del lavoro: essi sostengono che la loro condotta fosse da considerare legittima reazione all’inadempimento di obblighi di sicurezza gravanti sul datore e chiedono il pagamento della retribuzione.
I due giudizi di merito si concludono positivamente per i ricorrenti. La decisione di secondo grado, in particolare, si basa su perizie che evidenziano difetti nell’organizzazione delle operazioni di bonifica con conseguente dispersione di residui di amianto nei locali di lavoro.
Proprio questo aspetto, secondo i giudici, rappresenta il nucleo dell’inadempimento del datore sugli obblighi previsti
dall’articolo 2087 del Codice civile e giustifica, sul piano giuridico, il rifiuto di lavorare dei prestatori. La società ricorre in Cassazione. La Corte sottolinea, principalmente, due profili. In primo luogo, i giudici d’appello hanno bene interpretato l’articolo 2087 del Codice civile, secondo cui ogni datore deve adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro: essi, infatti, hanno censurato il datore per la violazione delle regole di comportamento che la stessa società aveva fissato ed emanato per eliminare/ridurre i rischi. La decisione di merito, inoltre, rivela una corretta applicazione del l’articolo 1460 del Codice civile, in base al quale, nei contratti con prestazioni corrispettive come è quello di lavoro, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione, se l’altro non adempie.
In questo senso, i giudici hanno valutato la condotta dei lavoratori come reazione all’inadempimento datoriale.
La Corte dunque ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente”.

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